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Spazio ai giovani!

di Andrea Pradelli

L’Italia non è un Paese per giovani e il mondo del lavoro è una chimera.

È un destino ineluttabile o si può fare qualcosa? A questa domanda hanno provato a dare una risposta gli ospiti della conferenza “Spazio ai giovani. Come cambiare il mondo del lavoro e creare futuro”, parte del MoRe Impresa Festival organizzato da LAPAM.

Credits: Sito MoRe Impresa Festival

Davanti a una platea di studenti dell’ultimo anno dell’Istituto Tecnico Industriale Enrico Fermi di Modena, il primo a parlare è stato Michele Tiraboschi, professore di Diritto del Lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia e direttore scientifico di ADAPT, centro studi focalizzato sull’economia e il diritto del lavoro. Secondo Tiraboschi stiamo vivendo una “Grande Trasformazione”, simile a quella descritta da Karl Polanyi per la Prima Rivoluzione Industriale.

Se allora le relazioni economiche dell’ancien régime furono sostituite da un mercato del lavoro, in cui i liberi cittadini offrivano il loro tempo al capitalista per guadagnarsi da vivere, oggi sta nascendo un mercato delle competenze. I lavoratori non vanno più in azienda solo per seguire le direttive del capo come le macchine. Oggi il lavoro è uno strumento per realizzarsi ed esprimere sé stessi: è questo il criterio per accettare o rifiutare una posizione. Le aziende che offrono lavori poco appaganti sono destinate a non trovare lavoratori.

Questa trasformazione nasce da lontano, perché già 40 anni fa il fordismo era in crisi. Quello che stiamo vedendo oggi è un cambiamento dell’intera società.

Oltre alla Quarta Rivoluzione Industriale c’è la trasformazione demografica, con una popolazione che invecchia e diventa più multietnica, e la trasformazione ambientale, che senza una seria transizione ecologica ci porterà alla catastrofe. La pandemia è un esempio dei grandi sconvolgimenti che ci colpiranno se non riusciremo a governare la Grande Trasformazione.

Perché la trasformazione si può e si deve governare.

Nel governo della trasformazione due attori avranno un ruolo primario. Il primo è la rappresentanza, come i Sindacati e la LAPAM. Essi possono dare una direzione al cambiamento, riorientando la formazione e il lavoro per uno sviluppo equo e sostenibile. Il secondo è il sistema educativo. Per gran parte del Novecento l’Italia è stata un Paese di botteghe artigianali, fatte da imprenditori e operai specializzati sfornati da Istituti Tecnici e Università.

Negli ultimi decenni, però, lavoro e formazione si sono allontanati sempre di più. Per Tiraboschi, il principale responsabile è la cultura anti-impresa, per cui l’azienda viene descritta come un luogo di sofferenza e gli Istituti Tecnici come scuole di Serie B.

A sua volta, la scuola è rimasta ancorata al passato. Nel mondo di oggi l’istruzione non dev’essere solo un trasferimento di conoscenze. Al contrario, l’aula deve tornare un luogo in cui mettere in pratica le conoscenze apprese sui libri. In poche parole, ai giovani bisogna fornire competenze, non solo conoscenze. Questo non vuol dire che la scuola debba essere asservita alle esigenze dell’economia, anzi, deve formare persone che sanno cosa vogliono ed entrano nel mondo del lavoro con la loro passione.

Da qualche decennio i governi italiani hanno puntato sull’alternanza scuola-lavoro, ma i risultati sono stati insoddisfacenti.

Spesso vengono offerti lavori che non c’entrano nulla con il percorso degli studenti, in aziende che non hanno tutor per far crescere questi ragazzi, e le ore dedicate sono troppo poche. Per Tiraboschi lo stesso termine “alternanza” è sbagliato, perché fa pensare al part-time e a un lavoro di Serie B. La parola giusta è integrazione: bisogna creare un sistema educativo in cui teoria e pratica siano complementari. Questa sfida è un onere e un onore per i docenti.

Un esempio di “sistema duale” che coniuga studio ed esperienza in azienda è offerto dagli Istituti Tecnici Superiori (ITS).

Gli ITS sono percorsi post diploma non universitari, organizzati in cooperazione con le aziende per preparare lavoratori altamente specializzati. DI ITS ha parlato Morena Santori, Presidentessa della fondazione FITSTIC (Fondazione Istituto Tecnico Superiore Tecnologie Industrie Creative).

Nel suo discorso di insediamento, Mario Draghi ha definito gli ITS una delle leve per la ripresa dell’Italia.

I numeri degli ITS sono incoraggianti: a un anno dal conseguimento del titolo di studio, in media l’82% degli studenti ha un lavoro coerente al percorso di studio, a Modena si supera il 90% per i percorsi di meccanica e ICT. In Emilia-Romagna gli ITS sono completamente gratuiti e sono cofinanziati da Regione, Fondo Sociale Europeo e Ministero dell’Istruzione.

Credits: sito FITSTIC

In tutto sono stati attivati 27 percorsi divisi in aree corrispondenti ai distretti industriali (meccatronico, ICT, biomedicale…). Il punto di forza degli ITS è l’alternanza, o meglio, l’integrazione, fra lezioni frontali ed esperienza in azienda. Nelle fondazioni che gestiscono gli ITS ci sono scuole superiori, enti locali, università e soprattutto imprese.

La presenza delle imprese fa la differenza, perché esse entrano a insegnare nell’ITS e i piani di studio vengono modificati ogni due anni anche in base alle loro indicazioni. Gli ITS sono monitorati dal Ministero e devono raggiungere determinati obiettivi per essere rifinanziati, inoltre il finanziamento può essere interrotto se il settore di riferimento è saturo.

L’obiettivo, per Morena Santori, è permettere ai ragazzi di costruirsi un progetto lavorativo che davvero li coinvolga anche come persone. Come sottolineava anche Tiraboschi, il nostro sistema educativo vincerà la sfida della Grande Trasformazione solo se riuscirà a formare persone con e dare loro gli strumenti per realizzarli. È questa la strada per, finalmente, fare spazio ai giovani.

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